Spamming: l’invio di newsletters non richieste costituisce reato.

di | 3 settembre 2012

Con la sentenza n. 23798 del 15.06.2012 la sez. III della Corte di Cassazione Penale ha ravvisato la configurabilità del reato previsto e punito dall’art. 167 del D.Lgs. 196/2003 (il cd. “Codice della Privacy”) qualora si siano realizzati invii non richiesti di materiale pubblicitario nella casella email di destinatari finali. Nel caso di specie, veniva confermata dalla Suprema Corte la condanna a nove mesi di reclusione nei confronti dell’amministratore delegato e del responsabile del trattamento dei dati personali di una società per i fatti descritti.

Nella massima della sopra ricordata sentenza, possiamo leggere che “tra i titolari deputati, ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. 196/2003 (c.d. Codice della Privacy), ad assumere decisioni in ordine alle finalità ed alle modalità di trattamento dei dati personali rientra anche colui che, senza essere istituzionalmente depositario dei dati personali, sia comunque venuto, anche occasionalmente, a conoscenza degli stessi: ove egli ne faccia diffusione indebita, pertanto, risponde del reato di cui all’art. 167 del Codice della Privacy. (Nella fattispecie la società Buongiorno, dopo aver proceduto ad una risoluzione unilaterale del contratto di concessione di spazi pubblicitari con la società Clever, aveva effettuato un trattamento dei dati personali degli iscritti alla newsletter, promossa dal sito quasi omonimo e creato dalla Clever, senza il consenso del responsabile del trattamento dei dati e amministratore delegato e senza informare gli iscritti della cessazione della lista, continuando, anzi, a recapitare a questi ultimi – quantomeno, nella accertata percentuale del 39% di essi – altre newsletter non richieste tra le quali, in particolare, quella che pubblicizzava dei servizi di Buongiorno Vitaminic. Il tutto avveniva mediante un sito internet allocato su un server della struttura I.net)“.

L’art. 167 (Trattamento illecito di dati) del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, al comma 1, dispone che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, alfine di trame per sè o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli artt. 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell’art. 129, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da sei a diciotto mesi o, se il fatto consiste nella comunicazione o diffusione, con la reclusione da sei a ventiquattro mesi”, mentre al secondo comma dispone che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, alfine di trame per sè o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli artt. 17, 20 e 21, 22, commi 8 e 11, 25, 26, 27 e 45, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da uno a tre anni”.

Tenendo ben presenti tali sopra ricordate considerazioni, la Corte di Cassazione ha confermato il principio secondo cui il reato di trattamento illecito di dati personali si configura qualora la condotta illecita, indipendentemente dal fatto che sia stata posta in essere al fine di trarne un profitto personale per se o per altri, determini necessariamente un nocumento ai danni della persona offesa.

Per un ottimo articolo a firma di Rocchina Staiano e per la massima e testo integrale della sentenza -> ALTALEX

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